Nella foto: Taismary Agüero

Per chi non la conoscesse, Taismary Agüero, classe 1977, è una giocatrice cubana naturalizzata italiana di pallavolo. Uno dei suoi soprannomi? «Fenomeno». Nella sua lunghissima carriera (non ancora conclusa), sono stati tanti i successi: medaglia d’oro alle Olimpiadi ad Atlanta nel 1996 e a Sydney nel 2000, oro al Campionato del mondo nel 1994 e nel 1998, e oro agli Europei nel 2007 e nel 2009, e qui omettiamo le tante vittorie ottenute nei vari club nei quali ha giocato. Una campionessa unica e umile, come lei stessa ama definirsi, con la quale abbiamo avuto modo, nei giorni scorsi, di chiacchierare piacevolmente.

Sorridente e schietta, con gli occhi vivaci, di chi ha carattere e determinazione da vendere e curiosità verso il mondo, e la sua piccola croce d’oro al collo, Taismary Agüero, Tai per tutti, si è raccontata con sincerità, tornando anche indietro nel tempo, quando dalla Svizzera fuggì in Italia.

«Tai, come si diventa delle campionesse?»

«Con la voglia, con lo spirito giusto, con la grinta e soprattutto con l’umiltà. Devi sempre dimostrare cosa sai fare e con continuità».

«La pallavolo ha avuto e ha una grande importanza nella tua vita. Se dovessi dire cosa è per te, cosa diresti?»

«Per me la pallavolo è qualcosa che è dentro di me, è come l’acqua o l’aria che respiro. È una grandissima passione, per questo motivo non riesco a smettere di giocare. E poi mi ha dato tante soddisfazioni, ho vinto tanto».

«Ti ricordi come hai iniziato?»

«È successo tutto per caso. A Cuba, nel mio paesino Los Lagos de Mayajigua, Sancti Spiritus, c’era un allenatore che insegnava in una scuola dove si praticavano tutti gli sport. Lui stava cercando nuove bambine da avviare alla pallavolo. Quando venne nella mia scuola, io frequentavo la terza elementare e facevo nuoto. In quegli anni passavo il mio tempo in acqua, soprattutto sul fiume che scorreva accanto a casa nostra, nonostante l’acqua fosse sempre freddissima. Quando lui mi vide a scuola, mi propose di fare uno stage di pallavolo, e poi mi inserì nel gruppo».

«Facciamo un salto temporale in avanti. Un momento importante nella tua vita è stato sicuramente il 2001. Dopo le Olimpiadi di Sydney, partecipi al Montreux Volley Masters, e da lì fuggi in Italia e abbandoni per sempre Cuba. Cosa era successo?»

«Avevo giocato già alcune stagioni in Italia, a Perugia. Dopo le Olimpiadi di Sydney, Cuba probabilmente avrebbe lasciato andare all’estero soltanto tre giocatrici, dunque non sapevo se avrei avuto la possibilità di ritornare in Italia. In quel periodo avevo conosciuto un ragazzo italiano (che poi sposerà, nda). Lui e una cara amica italiana mi dicevano tutto il tempo: «Tai, vieni in Italia! Vieni! Ti aiutiamo noi». Da Cuba c’era un traghetto veloce che arrivava a Miami, e da lì sarei potuta fuggire, ma io avevo molta paura del viaggio in mare e poi temevo di essere fermata all’arrivo a Miami. Se fosse successo, dopo, che cosa avrei fatto? Cuba non mi avrebbe fatta più uscire dal paese. Insomma ero molto combattuta. Dissi a questa mia amica: «Se al telefono ti dico che sto bene, che sono contenta, significa che sono pronta e che voglio fuggire, se ti dico che sono triste, significa che non me la sento». Dopo le Olimpiadi di Sydney andai a Montreux. In quel torneo c’era l’abitudine la sera, dopo l’ultima partita, di fare festa, la maggior parte delle atlete andava a ballare in discoteca fino a tardi. Quella sera lo chiesero anche a me, ma io risposi che ero stanca e che preferivo rientrare in albergo. Nel frattempo Chiara, la mia amica, aveva organizzato tutto».

«La Svizzera da un punto di vista della logistica era il paese perfetto»

«Fu per questo motivo che scegliemmo quel torneo. Chiara e un’altra amica più grande di noi, mi aspettavano in macchina. Partimmo in direzione della Francia, evitando di fare le strade più controllate e il tunnel del Monte Bianco, dove c’è sempre la polizia. Quella notte, la fortuna ci accompagnò. Pioveva a dirotto, per le strade non c’era nessuno, e nessuno ci fermò». Fa una pausa, nonostante siano trascorsi tanti anni, le emozioni vissute quella notte riaffiorano in lei all’improvviso. «Sono scappata così. Lo rifarei ancora, forse in modo diverso, ma lo rifarei. Per il semplice motivo che se fossi rimasta a Cuba non avrei avuto tutte le possibilità che l’Italia invece mi ha dato».

«Hai usato due verbi che non sono per nulla banali: fuggire e scappare, immagino che non sia stato facile per te»

«Non lo è stato. Anche perché sono stata la prima a fuggire da Cuba. Sapevo che si sarebbe parlato a lungo di me. Infatti, per settimane non si fece altro che dire la Agüero è scappata, la Agüero è fuggita. Cuba tentò anche di denigrarmi, raccontò che avevo rubato dei soldi e che questo era il vero motivo per cui ero fuggita. Nessuno ci credette a questa storia. Chi mi conosceva sapeva che non ero capace di fare una cosa simile. Non ci credette nemmeno l’allora Presidente della Federazione Internazionale, che mi salvò perché fece in modo che potessi avere il permesso di soggiorno».

«Dopo la fuga come furono i primi mesi in Italia?»

«Non facili. Mi chiesero di non espormi troppo pubblicamente, di non farmi vedere troppo in giro. In attesa dei documenti, non potevo nemmeno giocare. Per fortuna la società di Perugia mi aiutò moltissimo. Si occuparono loro di tutto».

«In tutti questi anni di pallavolo, quale è stato, secondo te, il momento più bello?»

«Di soddisfazioni ne ho avute tante, e anche di emozioni. Ma, ogni momento è unico. Quando vinci è sempre un’emozione diversa. Sicuramente le Olimpiadi sono state dei momenti importanti nella mia carriera. Però, posso dirti con onestà che, in questi ultimi anni, in cui sto giocando in categorie più basse, perché non sono più una ragazzina» (sorride), «a Montale, ho trascorso momenti stupendi. L’anno della promozione dalla B1 alla A2 è stato un anno bellissimo. Con la società, con l’allenatore, mi sono trovata benissimo, sono delle persone molto umili e sono stati per me come una famiglia. Quando si crea questa sintonia perfetta, un’atleta non può che esprimersi al meglio».

«Come sai, nelle scorse settimane in Italia si è parlato molto della giocatrice Laura Lugli che è rimasta incinta a campionato in corso e non ha ricevuto gli stipendi che le spettavano dalla società. Vista la risonanza che il caso ha avuto a livello nazionale, probabilmente faranno un passo indietro e forse Lugli riceverà il dovuto. Su questa situazione mi piacerebbe avere un tuo parere»

«Quando ho letto sui giornali la notizia, ho chiamato subito Laura, che conosco personalmente, per capire cosa fosse successo. In realtà il contenzioso con la società non era sorto durante questa stagione 2020-21, come i giornali hanno fatto credere, ma risaliva a 3-4 anni prima. Ad ogni modo quello che penso è che Laura ha fatto bene a raccontare tutto pubblicamente. Noi siamo delle professioniste, delle dipendenti, se restiamo incinta dovremmo essere pagate lo stesso, perché fino a quel momento abbiamo lavorato per quella società. Dovrebbe essere un diritto, ma nulla di tutto ciò compare sui nostri contratti! È una cosa vergognosa».

«Tai, vorrei che ci lasciassimo con un’immagine privata di te. Quando togli la maglia, le ginocchiere, le scarpe e rientri a casa, come sei? Che fai

«Tai fuori dal campo è una ragazza semplice, quando torno a casa penso alla mia famiglia, faccio la mamma, cucino e dimentico tutti i problemi che ci sono fuori. E passeggio nel verde vicino casa mia».

«Farai fare pallavolo hai tuoi figli?»

«No!», ci pensa un momento, tentenna, poi aggiunge sorridendo: «decideranno loro, è giusto così».