Il film Who If Not Us? The Fight for Democracy in Belarus di Juliane Tutein è stato presentato nei giorni scorsi al FIFDH di Ginevra. Una testimonianza preziosa.

Capire cosa sia una dittatura non è facile da “fuori”, cioè quando si vive in un paese democratico. Occorre sentirsi dentro la dittatura per percepirne tutto l’orrore e il costante pericolo che si corre, se ci si oppone, se si vuole urlare la verità.

In Who If Not Us? The Fight for Democracy in Belarus di Juliane Tutein, film presentato all’ultimo Festival Internazionale del Film e Forum dei Diritti Umani di Ginevra, tre attiviste di età diverse ci raccontano la dittatura in Bielorussia. Il loro racconto parte dal 2020, quando fecero clamore le numerose manifestazioni contro il governo, durante le quali migliaia di persone scesero in strada per gridare il loro dissenso. Purtroppo, nei giorni a seguire, tantissimi manifestanti furono arrestati e condannati a pene pesantissime.

Nina Baginskaya ha più di settantanni ed è un vulcano di energie e di coraggio; nonostante i rischi che corre, continua a presentarsi davanti al Parlamento per protestare con un cartellone che si incolla talvolta sulla maglia, affinché sia più difficile strapparglielo. In una di queste occasioni sarà arrestata e portata in un ospedale psichiatrico, dal quale sarà rilasciata grazie alla solidarietà e alla comprensione di uno dei medici. Nina ci mostra la sua casa, il suo orto e la vita di tutti i giorni sotto una dittatura, fatta di speranza e di incertezze (tante), e ci dice che mai e poi mai ha chiuso la bocca e mai gliela chiuderanno.

Tatsyana «Tanya» Hatsura-Yavorskaya, (nella foto in Ucraina) fondatrice d’un festival del film sui diritti umani da molto tempo, per le sue attività, è tenuta sotto controllo dagli uomini di Lukašenko, il Presidente della Bielorussia. È stata costretta a lasciare la sua casa, per questo motivo va ad abitare da un’amica e resiste per mesi, sebbene il marito e il figlio siano già scappati in Ucraina. Quando la situazione diventa davvero insostenibile, Tanya raggiunge i suoi familiari in Ucraina e cerca di aiutare la popolazione locale che nel frattempo è sotto assedio dei russi. Tanya resiste fin che può, fa quel che può, e in nome della lotta rimane nel suo paese per mesi, nonostante le manchi il figlio. Poi, ad un certo punto, non le resta che fuggire e ce lo racconta dilaniata dai sensi di colpa.

E poi c’è la storia di Darya Rublevskaya, una giovane attivista che lavora per il centro Viasna per i diritti umani. Quando diverse sue colleghe vengono arrestate e condannate anche a 15 anni di carcere, Darya scappa in Lituania, e anche lei, lontana dal suo paese cerca in tutti i modi di lottare affinché un giorno ci possa essere una democrazia nel suo paese, sensibilizzando sul tema giovani studenti universitari.

Un film, quello di Juliane Tutein, che ci fa conoscere meglio la Bielorussia, il suo presidente, Aleksandr Lukašenko, e il cambiamento radicale apportato da quest’ultimo nel paese, soprattutto dal febbraio 2022, quando, con l’invasione della Russia in Ucraina, anche in Bielorussia si sono intensificate le repressioni e le intimidazioni contro la società civile e, di fatto, le ONG, che vi operavano, sono dovute andare via. Un monito per tutti il film di Tutein: quanto sia essenziale lottare per la democrazia nel proprio paese, per i popoli dei paesi confinanti e rimanere vigili affinché le attuali democrazie non si trasformino in dittature.