Pierre Lepori © Manuele Ferrari

Lo scrittore e regista svizzero Pierre Lepori autore, tra gli altri, di Grisù, Sessualità e Come cani commenta a Caos la votazione del 26 settembre scorso e ci parla dei progetti in corso.

«Pierre Lepori, scrittore, regista, traduttore, artista militante in favore dei diritti LGBT, innanzitutto vorrei chiederti quali sono le tue impressioni dopo la votazione del 26 settembre scorso nella quale gli svizzeri e le svizzere si sono detti.e a favore del matrimonio per tutti.e. Sei contento?»

«Sono molto contento perché la votazione ha portato al 67% di voti positivi a livello nazionale, purtroppo solo 52% in Ticino, forse per l’influsso della cultura cattolica e dell’Italia. I diritti, a mio avviso, sono legati a doppio filo con l’andamento sociale, con il cambiamento della società. Nel 2007 abbiamo votato il Pacs che, almeno a livello svizzero, era una legge discriminante, che dava solo alcuni diritti, riservandoli unicamente alle coppie omosessuali; ma il Pacs è stato un inizio. La legge fu approvata in votazione popolare con una maggioranza ristretta, in Ticino e in altri sei cantoni non si raggiunse nemmeno il 50%. Vent’anni dopo in tutto il paese si è detto di sì ad una legge che tutela molto di più i diritti di omosessuali e lesbiche e anche dei figli di queste persone. E tutto ciò è avvenuto con una larga maggioranza! Sono dunque molto fiducioso, la società si evolve. Credo che la votazione di vent’anni fa abbia consentito che si portasse avanti la discussione, facendo conoscere un modello più aperto di famiglia. Oggi la società è più disponibile al cambiamento e probabilmente acquisire negli anni dei diritti significa rendere visibili altre realtà. Credo che ci sia un collegamento tra legge e cultura, la legge può seguire o anticipare la cultura, in questo caso, forse, ha anticipato il cambiamento, garantendo dei diritti».

«Dal punto di vista culturale cosa è cambiato secondo te rispetto a vent’anni fa?»

«Un cambiamento fondamentale si è visto nei media, la cultura omosessuale gay/queer è stata molto più presente nel dibattito, alcuni di questi temi, l’omosessualità per esempio, sono diventati meno specifici. In generale sono stati messi in discussione alcuni capisaldi della cultura patriarcale etero-normativa bianca coloniale da cui veniamo, la cultura di fine ‘800 inizi ‘900, per intenderci. Oggi c’è la libertà di come ci si vuole definire, uomo, donna, etero, omosessuale, ed è cambiata la virilità, è cambiato il maschio alfa ed è sceso il tasso di testosterone. La considero una vittoria di tutti, anche del maschio, perché i mariti di oggi sono degli uomini diversi rispetto a vent’anni fa. È un segnale positivo per tutta la società».

«Che paese è oggi la Svizzera?»

«Non è facile definire la Svizzera perché è un paese multiforme e multiculturale, molto diverso al suo interno, con parti cattoliche e parti protestanti, zone rurali e urbane, lingue diverse. Visto dall’esterno, è un paese difficile da analizzare perché, da un lato è culturalmente più aperto di altri paesi, dall’altro economicamente più chiuso. Rispetto alla situazione politica attuale di Polonia, Ungheria, o della stessa Italia, in Svizzera non c’è questo ritorno al fascismo. Il nostro è un paese di destra, liberale, ma non fascista, ed è un paese molto ricco e questo fa sì che il tessuto culturale del paese sia fecondo. In ogni piccola città c’è un teatro e per gli artisti le condizioni di lavoro sono meno difficili di quelle dei nostri vicini».

«Tu come artista riesci ad esprimerti liberamente?»

«La Svizzera ha paura di alzare la voce, nell’arte questo non è positivo, non esiste una vera e propria censura, ma non c’è l’abitudine di fare scandali o di prendere posizione scomode».

«Alice Coffin nel suo libro «Le génie lesbien» scriveva una frase che mi ha molto colpita: Agli adolescenti omosessuali per generazioni sono mancati i modelli di riferimento, in letteratura come al cinema. È stato così anche per te?»

«La cultura partecipa alla costruzione di quello che è auspicabile, vivibile, possibile e anche di quello che si può dire. E questo vale per tutte le minoranze. Fino a quarant’anni fa le donne dovevano sposarsi con l’abito bianco e dovevano essere vergini. Era questo il modello. L’esistenza sociale è data anche dall’esistenza culturale».

«Quando è nato il Pierre scrittore?»

«Prestissimo, tra gli otto e i nove anni. In famiglia dicevo: «voglio fare lo scrittore» e loro mi rispondevano: «ma questo non è un mestiere!». C’era un tabù intorno alla scrittura che negli anni ho dovuto superare, perché lo avevo io stesso interiorizzato. Avevo e ho la vocazione dello scrittore, sebbene nessuno in famiglia lo fosse. Oggi posso dire con una certa libertà che sono uno scrittore a cui piace fare teatro, non mi piace definirmi regista».

«Quali sono state le letture importanti che ti hanno formato da ragazzo?»

«Direi sicuramente Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald e Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Al tempo leggevo anche tantissima poesia e anche tanto teatro. Mio fratello, quando ero adolescente, studiava a Roma, mi comprava montagne di libri di seconda mano: l’opera omnia di Pirandello, di Molière, a mille lire. Uno dei poeti che ho letto in quegli anni fu Sandro Penna, amico di Pasolini; forse non è un caso se in questi mesi sto creando uno spettacolo su di lui. Le letture adolescenziali sono sempre molto importanti».

«Che cosa ti aveva colpito di Sandro Penna?»

«Sandro Penna veniva da una provincia cattolica, scriveva negli anni ‘30 di amore tra uomini, è stata dunque una scoperta fondamentale per me. Di Penna si conosce soprattutto la poesia più elegiaca e spontanea, che Pietro Bigongiari aveva definito “un fiore senza gambo apparente”, ma in realtà molte sue poesie sono tragiche, alcune addirittura sconce. L’idea di uno spettacolo su Sandro Penna è nata alcuni anni fa, quando ho scoperto su internet l’estratto di un film del 1969, in cui lo si vedeva in casa sua, a Roma. Penna leggeva sue poesie con una voce chioccia, c’erano fogli sparsi dappertutto per terra, un disordine assoluto. L’ho subito trovato un personaggio teatrale. Con il mio editore di Losanna, éditions d’en bas, abbiamo deciso di pubblicare un volume bilingue di poesie, basato sull’auto-antologia pubblicata da Penna nel 1973 per Garzanti. Questo libro è importante perché oggi purtroppo questo grande poeta (in Italia pubblicato nei Meridiani) è poco conosciuto in francese. Lo spettacolo invece debutterà in gennaio».

«Cosa vuoi raccontare di Penna nello spettacolo?»

«Vorrei raccontare questa figura solitaria di un poeta chiuso nella sua stanza mentre legge le sue poesie come se nient’altro importasse: una figura di “santo anarchico” come diceva Pasolini, ma anche un po’ patetico, civettuolo. Con Jean-Luc Borgeat, l’attore che interpreta Sandro Penna, abbiamo deciso di fare un ritratto non realista del poeta, di proporre uno spettacolo in forma di “paesaggio”, molto musicale. Un teatro poetico, con al centro le sue poesie».

«Perché lo scrittore e giornalista culturale Lepori ha bisogno di fare anche teatro?»

«Sono in una fase della mia vita in cui mi sento più libero. Per troppi anni ho sacrificato la scrittura e la creazione, perché dovevo lavorare in altri ambiti. In questi anni ho capito che per stare bene, ho bisogno di esprimermi anche come regista oltre che come scrittore o traduttore. Il giornalismo culturale resta per me un’attività appassionante e stimolante, ma meno centrale di prima».

«Per tornare alla votazione del 26 settembre scorso, cambierà qualcosa nella tua vita privata?»

«No, perché sono contro il matrimonio, a titolo personale. Tuttavia è importante che chi lo voglia lo possa fare. Che diventi un diritto e che si possano superare le discriminazioni».

Consigli di lettura

  • Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.

  • Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant'anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontarle la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e di Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.