© Krysztof Jabłonowski

L’ultimo libro di Agata Tuszynska, «Affaires personnelles» (L’antilope, 2020), non ancora tradotto in italiano, è una vera e propria testimonianza storica di quello che successe ormai più di cinquanta anni fa a Varsavia agli ebrei polacchi. 

La storia di «Affaires personnelles» della scrittrice polacca Agata Tuszynska comincia da una foto scattata alla stazione dei treni di Varsavia nel maggio 1969. Un gruppo di giovani donne e uomini sono in partenza dalla Polonia, fino a quel momento il loro paese. Hanno con loro pochissimi oggetti personali e tanta, tanta paura per quello che potrà essere il loro futuro lontano dall’amata Polonia. Partono perché sono ebrei. Fuggono perché da poco più di un anno, dagli inizi del ‘68, una violentissima campagna antisemita si è diffusa in tutto il paese.
Cinquanta anni dopo, Agata Tuszynska decide di rintracciare le persone immortalate in quegli scatti e, a partire dai loro racconti, costruisce un romanzo a più voci che è una struggente testimonianza storica del dolore per un abbandono tanto forzato quanto insensato. Figli e figlie lasciano per sempre la famiglia, gli amici, l’università, la propria casa e il proprio paese.
«Il fischio del treno. Gli annunci del controllore in russo. Gli ultimi baci. Gli ultimi: «dai, a presto vecchio amico mio». L’abbraccio stretto di mia madre. «Prenditi cura di te stesso, ci si rivede presto». Il treno parte. Concentro l’attenzione sui capelli neri di mia madre. Non piangere. Il treno fa una lunga curva a destra. Sono un emigrante», ricorderà Stefan Ulman.

Molti di loro si rifugeranno in Svezia e in Danimarca, altri in Norvegia, Finlandia, Francia, Stati Uniti e Israele.
Quello che colpisce di « Affaires personnelles » è la ricostruzione minuziosa dei fatti storici e degli stati d’animo di tutti questi giovani. Molti di loro in quanto atei non sapevano nemmeno di essere ebrei. Molti, nel 1968, non sapevano nemmeno di avere una madre o un padre ebreo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale infatti, in molte famiglie ebree il silenzio sulle proprie origini era stato assoluto. Meglio non far sapere di essere ebrei, meglio non parlarne. La stessa Agata Tuszynska scoprirà solo molto dopo le origini ebraiche della madre.
È la strada dunque, in quel 1968 a Varsavia, che informerà questi giovani ventenni dei loro natali : sapranno di far parte della razza ebraica per un certo colore dei capelli, per una certa forma degli occhi e della pelle, e per questo saranno insultati e aggrediti per le vie. Cinquanta anni dopo, l’interessante libro di Agata Tuszynska, ci racconta le ferite ancora aperte di questa generazione e, soprattutto, ci ricorda in ogni pagina come sia importante la memoria storica, di come sia assolutamente necessario conoscere e non dimenticare, affinché degli altri Stefan, Adam, Jacek, Ania, Jurek non siano costretti ad abbandonare tutto, per fuggire dalla barbarie umana.

 

Agata Tuszynska in Italia ha pubblicato Wiera Gran. L’accusata, Torino, Einaudi 2012.

Consigli di lettura

  • Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.

  • Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant'anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontarle la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e di Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.