nella foto Lia Pipitone con il figlio Alessio

Siamo negli anni '80, nel pieno boom di morte. Sì, boom, perché il rumore che invadeva le strade di Palermo era quello delle bombe e degli spari, ma anche quello delle sirene della polizia e delle ambulanze, che si precipitavano lì, dove vite umane venivano trucidate senza pietà, lì dove corpi imbrattati di sangue rimanevano inermi sull’asfalto, attorno a chi inesorabilmente dichiarava di non aver né visto né sentito.

Tra queste vittime Rosalia Pipitone, da tutti conosciuta come Lia. Ma chi era veramente Lia? Ce lo racconta il figlio, Alessio Cordaro, il quale torna nelle librerie con la nuova edizione di Se muoio, sopravvivimi (Zolfo Editore), scritto a quattro mani con Salvo Palazzolo, giornalista d’inchiesta e inviato speciale di Repubblica.

Lia era una giovane donna di soli 25 anni, bella e carismatica, talvolta dagli occhi tristi, che a detta di molti era fuori dagli schemi.

Amare la libertà, voler vivere la propria vita in pienezza, coltivare le proprie passioni, sognare un futuro diverso. Questo significava essere fuori dagli schemi? In fondo lei voleva essere semplicemente se stessa e fare le esperienze che ogni ragazza della sua età desidera.

Ma quali erano gli schemi entro i quali era costretta a stare? E soprattutto chi dettava e imponeva tali schemi? A Lia non era concessa la possibilità di scegliere: scegliere di fare una passeggiata, andare a una festa, recarsi autonomamente a scuola, vestirsi come a lei piaceva. Nulla di nulla. Scegliere era pura utopia, perché a decidere per lei era solo ed esclusivamente il padre. Non un padre qualsiasi, ma Antonino Pipitone, boss indiscusso del quartiere Acquasanta di Palermo. A lui e, quindi, alla mafia tutta Lia era costretta a dare conto e ragione. Non avrebbe potuto e dovuto sottrarsi alle sue decisioni, né battere ciglio di fronte alle imposizioni del suo “Dio”, meno che mai assumere un modus vivendi non conforme ai canoni del sistema mafioso.

Per lei, donna estremamente intelligente, con una forte personalità e un grande coraggio, tutto ciò era inaccettabile. La sua voglia di vivere e di vivere in libertà era più forte della voglia di suo padre di tenerla assoggettata a lui e di controllare ogni sua mossa, ogni suo movimento. Poche cose le erano concesse: frequentare il liceo artistico (una delle sue prime conquiste) ma accompagnata e prelevata dal fratello, e percorrere il tragitto casa-edicola (appena 30m) per acquistare libri, di cui era una grande divoratrice.

Quanto sarà stata dura per lei vivere in quelle costrizioni e restrizioni! Quante volte si sarà sentita soffocare tanto da progettare una fuga e le sue prospettive di futuro? Complice di questo piano Gero, il fidanzato conosciuto al liceo, con il quale condivise tante scelte importanti: l’allontanamento da Palermo, il matrimonio, il ritorno in città, la nascita di Alessio.

Antonino Pipitone non accettò di buon grado questa forma di ribellione da parte della figlia, meno che mai piacque ai suoi amici mafiosi, soprattutto quando, dopo alcuni anni di matrimonio, lei espresse la volontà di volersi separare e andare a vivere in una città del Nord Italia. Inoltre nel quartiere girava voce che avesse un legame particolare con un certo Simone. Tutti questi elementi consacrarono la sua condanna a morte perché stava tradendo l’onorabilità dell’organizzazione criminale.

Un pomeriggio di settembre, Lia scese da casa per recarsi alla sanitaria Farmababy nel quartiere Arenella per fare una chiamata con il telefono a gettoni, mentre al quarto piano di una palazzina poco distante suo figlio di appena quattro anni attendeva sereno e impaziente il ritorno della sua mamma. Alessio attese invano, perché dei colpi di pistola la colpirono ripetutamente, tra scatoloni di pannolini e scaffali di omogenizzati, mentre i sicari simulavano una rapina con il chiaro intento di depistare le indagini.

Ma chi fu il mandante? Chi decise di sbarazzarsi di Lia e del suo animo libero e ribelle? La mafia con il consenso del padre. Sì, proprio del padre.

A questa verità si arrivò dopo tanti lunghi anni e grazie all’impegno, alla perseveranza e alla determinazione di Alessio Cordaro e Salvo Palazzolo, i quali nel 2012 scrissero la prima edizione del libro, affinché venisse fatta luce su una vicenda con tante ombre e tanti punti interrogativi.

Grazie alla prima pubblicazione venne riaperto il caso e furono condannati a trent’anni i due capimafia, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, che ordinarono l’omicidio della giovane.

Nel settembre 2022, a distanza di dieci anni, con la nuova pubblicazione di Se muoio, sopravvivimi si vuole continuare a dare voce a questa donna coraggiosa e proseguire la battaglia per restituirle dignità e giustizia. Sembra paradossale ma a tutt’oggi, malgrado le condanne definitive e la sua chiara volontà di voler prendere le distanze da quell’uomo, sangue del suo sangue, Lia non è stata ancora riconosciuta vittima di mafia in quanto non ha per lo Stato i requisiti soggettivi.

Il libro racchiude pagine emotivamente coinvolgenti, in cui si intrecciano i racconti di pancia e di cuore del figlio Alessio con le indagini minuziose di Salvo Palazzolo, che fanno emergere facce contrastanti di una stessa medaglia: la forza di una figlia e la spietatezza di un genitore, il coraggio di una donna e la prepotenza di un clan, il dolore di un bambino per la morte della madre e l’impassibilità di un padre per la morte della figlia.

Ogni capitolo è scritto, anche negli aspetti meramente tecnici, con un linguaggio semplice ma incisivo, che tiene alta l'attenzione del lettore. Il titolo non è scelto a caso, ma rievoca l’omonima poesia di Pablo Neruda, una delle preferite di Lia, e rispecchia un dato di fatto: a quasi quarant’anni da quel tragico 23 Settembre 1983 Lia sopravvive. Lo scrive in un passaggio anche Alessio: “Ti hanno uccisa, ma tu non sei morta. Ora, ne sono sicuro, perché tu e la tua voglia di riscatto vivono in me”.

Di grande impatto visivo ed emozionale la foto di copertina scattata da Gero Cordaro, il quale ha saputo cogliere tutta l’espressività e la forza comunicativa della sua giovane moglie, nonché la sua eleganza e la celata malinconia.

Se muoio, sopravvivimi va assolutamente letto, consigliato, portato nelle scuole, nelle associazioni, tra i giovani e le forze sane della società, ovunque ci sia fermento di idee e progetti, affinché si concretizzi l’auspicio di Salvo Palazzolo:

Come sarebbe bello realizzare a Palermo una grande fabbrica delle idee espresse dagli uomini e dalle donne uccise dalla mafia: non dovrebbe essere un museo, ma un grande puzzle da comporre. E alla fine, potrebbe uscirne l’immagine di una città nuova, quella che i mafiosi e i loro complici non volevano”.

Consigli di lettura

  • Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.

  • Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant'anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontarle la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e di Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.