Nella foto: Simona Brunel-Ferrarelli

Ho incontrato Simona Brunel-Ferrarelli in un pomeriggio primaverile a Ginevra, al parco des Bastions, per parlare del suo libro «Les battantes», scritto in francese e pubblicato dalla casa editrice Encre Fraîche. La nostra conversazione è stata l’occasione per un ritorno al passato, all’infanzia trascorsa in Italia, in un paesino Rocca Patrizia, nella realtà Fara Sabina, in cui gli intrighi familiari, il perbenismo e le tradizioni spingono, nel libro, alcuni personaggi alla disubbidienza.

La trovo seduta su una panchina sotto il sole, ai suoi piedi c’è Luna, la sua cagna, Simona Brunel-Ferrarelli è sorridente e incuriosita da questo nuovo incontro. Dopo i primi saluti, passiamo subito all’italiano ed è un grande sollievo per entrambe: ci sentiamo già vicine, ci capiamo già.

Les battantes, il suo primo libro, ha avuto un discreto successo: di certo è piaciuta la sua scrittura, così elegante, ricca, musicale. In ogni pagina si risente una certa italianità nel suono, nel ritmo, ed anche il contenuto rimanda costantemente ad un paesino soleggiato sulle colline laziali a 40 km da Roma, Rocca Patrizia, nella realtà Fara Sabina. Tutta la storia si gioca attorno a questo luogo incantato per la scrittrice, è lì infatti che è stata concepita ed è lì che ritorna ogni estate per diversi mesi. Fara Sabina è il suo «chez moi» come mi dirà più volte nel corso dell’intervista, nonostante per la gente del posto lei sia la straniera. A Rocca, si gioca tutto l’intrigo narrativo, dall’inizio alla fine, la storia ruota attorno ad una famiglia borghese e conformista, in una grande e maestosa casa, Villa Aida, in cui le figlie femmine non hanno la stessa libertà dei maschi. Lala, l’ultima arrivata in casa Coronesi, proverà a ribellarsi a modo suo, innamorandosi del ragazzo sbagliato, di Pablo, un giovane con gli occhi ardenti, mal visto dalla famiglia, e in particolare dallo Zio Umberto, il capo famiglia, per le sue origini impure. Una storia d’altri tempi, solo in parte autobiografica, scritta con una scrittura d’altri tempi: «questo è il mio stile», dirà l’autrice. Una storia di famiglia che ha saputo conquistare il pubblico, perché in fondo parla a molti: un amore di gioventù, proibito, per il quale vale la pena lasciarsi andare e fuggire.

«Simona Brunel-Ferrarelli, innanzitutto vorrei che si presentasse»

«Sono svizzera ma di origini italiane, sono nata a Roma da genitori romani, mio padre è fisico nucleare, avevo 8 anni quando ci trasferimmo a Ginevra, lui aveva ricevuto una proposta dal Cern. Io parlo l’italiano, il tedesco, il francese e l’inglese. Se devo sintetizzare, direi che la mia patria culturale è la Francia, la mia patria politica la Svizzera e la mia patria del cuore l’Italia».

«Per il suo primo romanzo, nonostante lei abbia vissuto tantissimi anni in Svizzera, ha scelto l’Italia e Rocca Patrizia, come mai?»

«Dovevo in qualche modo regolare i conti con questo paesino dove io sono stata concepita e dove mi sento a casa. È il solo posto dove prende corpo in me un benessere assoluto, non c’è una spiegazione logica. È così. Lì c’è il mio centro emotivo. Soffro dieci mesi all’anno per poi essere felice due mesi laggiù. Il mio «Rocca» è un posto incontaminato, un villaggio d’altri tempi dove, per leggere i messaggi whp, bisogna andare in un punto preciso della piazza del paese, perché altrove non c’è internet. Les battantes però, non è il mio primo romanzo, per tanti anni ho scritto solo per i miei amici, mi bastava così, non volevo il successo, non mi dispiaceva restare nell’ombra».

«Che cosa le ha fatto cambiare idea?»

«La morte di mia madre qualche anno fa. Mia madre era una donna molto forte e autoritaria, per me aveva deciso tutto, dopo il liceo voleva che facessi Diritto, la pregai in ginocchio di farmi fare altro… Da adulta, non volevo che lei leggesse quello che scrivevo. La sua morte mi ha fatto sentire libera, sebbene mi sia trovata attorno un vuoto incolmabile».

«Nonostante Rocca sia «il suo posto», nel libro però la storia è fatta di contrasti, di silenzi, di infelicità»

«Perché in fondo questo viaggio verso la Svizzera è stato un trauma, ci sono state tolte presto le nostre radici, le lingue sono radici affettive. E le radici sono legami fortissimi».

«Lala è una ragazzina tredicenne a cui lo zio Umberto impedisce di fare tante cose, rispetto ai cugini maschi. Le è impedito pure di frequentare un giovane ragazzo di quindici anni, Pablo. Secondo lei, le ragazze di oggi possono immedesimarsi in questa storia?»

«A Morges, a Le livre sur les quais, ho avuto modo di incontrare i lettori. Alcune ragazze mi dicevano che si erano ritrovate nella storia di Lala, nel senso che spesso la famiglia può diventare una prigione, si ha voglia di scappare, di andare via. E anche nel Vallese tante persone mi hanno detto che la storia narrata ne Les battantes in qualche modo l’hanno vissuta anche loro sul territorio. Intendo quel sentimento costante di voler escludere l’altro, lo straniero, dal proprio villaggio. Magari qui in Svizzera non c’è la stessa grande famiglia patriarcale italiana, ma il senso di costrizione può essere lo stesso. In fondo non ho scritto nulla di originale».

«Ha scritto di un amore di gioventù, in cui tutti si possono riconoscere. E di una ragazzina, Lala, che si ribella»

«Lala si ribella fino ad un certo punto. Abbassa anche la testa. Lala vive in una società maschile, è schiacciata. Ma non c’è rivalsa nel libro, non credo nel femminismo».

«C’è una scena chiave nel libro, secondo lei?»

«La scena dell’albicocca»

«In effetti è una scena molto forte: tutta la famiglia è riunita a tavola, lo zio Umberto obbliga Lala a mangiare un’albicocca per cui lei prova assoluto disgusto, Lala però non la mangerà».

«Abbasserà la testa, aspetterà due giorni affinché l’albicocca ammuffisca, ma se Lala avesse avuto il coraggio, l’avrebbe mangiata. Avrebbe superato il disgusto, pur di vincere».

«Ci possono essere due letture differenti di questa scena, in ogni caso il lettore si fa un’idea chiara di come fosse l’atmosfera in quella casa».

«Questa storia è autobiografica, io davvero non sopporto le albicocche, il frutto. Nella scena del libro, lo zio Umberto detta legge ma la madre di Lala lascia fare, cede la propria genitorialità al maschio della famiglia. È quello che ha fatto mia madre, lei soffriva per l’albicocca che non mangiavo, ma non ha mai tolto quel piatto».

«Quindi, piuttosto che di patriarcato, si dovrebbe parlare di matriarcato»

«Nella nostra famiglia c’era una forma di matriarcato nascosto. Come Lala, sono dovuta fuggire da casa giovanissima per sentirmi libera».

«Nel libro, a mio avviso, uno dei personaggi meglio descritti, è Pablo. Pablo è la passione, l’amore assoluto, la forza, il coraggio, il desiderio...»

«Manca ancora qualcosa… Pablo è l’amore materno, è l’uomo-madre»

«In effetti Lala lo dice nel testo «Da te, passerò a lui». Chi è l’uomo madre per Simona Brunel-Ferrarelli?»

«Con l’uomo madre all’origine c’è il rapporto amoroso, la passione affinché ci sia la procreazione. Poi però quest’amore si trasforma in amore assoluto, come quello di una madre per il proprio figlio. Questo è l’uomo madre per me. Poco importa se ingrassi, se invecchi, lui ci sarà sempre! Ed è colui che ti dice: «Bevi l’acqua, ti fa bene bere! Mangia!».

«Lei ormai è uscita dall’ombra, e mi sembra che le piaccia, ha pensato al dopo?»

«È vero, è nato un bisogno egocentrico in me di essere riconosciuta. Oggi ho bisogno di dire. Per troppi anni mi sono nascosta».

Mi sorride maliziosa, che ci sia già un altro libro pronto? Con sguardo sornione mi dice che le piacerebbe scrivere un monologo per il teatro. «Chissà se sarò in grado di farlo», mi sussurra, poi prende Luna e ci salutiamo.

Consigli di lettura

  • Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.

  • Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant'anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontarle la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e di Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.