Si sono da poco concluse le Giornate letterarie di Soletta 2021, alla loro 43a edizione. Un’edizione di vicinanza, nonostante la pandemia. Solo dieci eventi si sono tenuti in presenza, mentre la maggior parte si è svolta on-line. Il contrario di “presenza”, quindi, non è stato “assenza” – il festival ha avuto luogo –, ma neppure “distanza”, perché gli organizzatori sono riusciti a portare il festival letterario dentro le case, grazie a un’ottima organizzazione, una bellissima grafica, audio e immagini di qualità, con una formula flessibile e varia (ascolto, video, partecipazione via Zoom), anche nelle tariffe.

La manifestazione, per volontà del nuovo direttore, Dani Landolf, è stata all’insegna della diversità culturale, di età e di genere. Si è voluto dare spazio non solo alle molteplici culture presenti in Svizzera, ma anche alle voci straniere, e a generazioni diverse. È sotto la stessa insegna che ha designato i suoi vincitori il Gran Premio svizzero di letteratura 2021, presentati attraverso dei video sul sito delle Giornate di Soletta, con un commento della scrittrice e presidentessa della Giuria federale della letteratura, Tabea Steiner, che ha sottolineato come leggere significhi “superare barriere culturali e geografiche”.

Fra i premiati, segnaliamo, oltre al vincitore del Gran premio svizzero per l’insieme della sua opera, il franco-svizzero Frédéric Pajak, l’autrice romana residente a Losanna Silvia Ricci Lempen, per aver scritto, contemporaneamente in italiano e in francese, I sogni di Anna e Les rêves d’Anna.

Impossibile sarebbe render conto di più di 100 eventi, per cui opereremo una selezione opinabile, con un occhio attento soprattutto alla produzione in lingua italiana.

Il ticinese nativo di Mendrisio Alberto Nessi ha presentato il suo Corona blues. Diario dell'anno 2020, ed. Casagrande, improntato all’attualità, in cui ha raccolto pensieri in versi e in prosa scritti durante la primavera del 2020. Secondo l’autore, la pandemia ha acuito il senso di fragilità della nostra vita e ha permesso di riscoprire il senso della letteratura, che deve dare felicità, bellezza all’uomo. Corona blues vive dei contrasti fra piccolo e grande, chiaro e scuro, bene e male che convivono in noi e cerca di riscoprire lo stupore di essere al mondo nei micro-eventi del quotidiano, nella presenza minima di un ragno che si appiattisce, in un fazzoletto del mondo come il Canton Ticino, perché l’arte per lui nutre gli interstizi che ci danno la forza per vivere, nella ricerca dell’essenziale. Se la letteratura non riesce a cambiare il mondo, può almeno cambiare il modo di vederlo e far riscoprire il piacere dell’alterità, delle altre vite di cui abbiamo bisogno.

Anche Il bambino lucertola di Vincenzo Todisco, ed. Armando Dadò, vuol far emergere ciò che è nascosto, in questo caso la vita clandestina di un bambino figlio di stagionali emigrati per lavorare in Svizzera – Paese non nominato direttamente ma chiamato “il paese d’accoglienza” – da Ripa, località immaginaria del Sud Italia, negli anni ‘50-’60. Una storia inventata basata sull’autentica e dura legge che impediva ai migranti di portare con sé la prole, pena espulsione di tutta la famiglia, e probabilmente in parte ispirata alla stessa condizione dell’autore, figlio di immigrati italiani che nell’infanzia giocava con i figli di camerieri e di cuochi all’Hotel Palace di San Moritz, dove il padre era capo-cameriere. Il bambino del romanzo è costretto a celarsi ai controlli dentro e sotto gli armadi, a strisciare come una lucertola. L’aspetto più interessante è quello linguistico. In effetti, il libro è stato scritto prima in tedesco (col titolo Das Eidechsenkind) da Todisco, che poi l’ha tradotto in italiano. L’autore ha spiegato di aver sentito l’esigenza di una lingua meno rotonda, con più angoli rispetto alla sua lingua madre, e il tedesco è stato per lui provvidenziale con la sua precisione condensata. Gli ha consentito di nascondere più a lungo il bambino anche nella scrittura, perché das Kind è neutro, mentre l’italiano il bambino rivela subito il sesso maschile del clandestino. Del romanzo esiste anche una traduzione francese (L’Enfant lézard) ad opera di Benjamin Pécoud per l’ed. Zoe.

Donatella Di Pietrantonio, reduce dal successo de L’Arminuta, ha parlato del suo ultimo romanzo, Borgo Sud, ed. Einaudi. Il nuovo testo è ambientato ancora una volta nell’Abruzzo, più precisamente a Borgo Sud, quartiere di pescatori e di marinai a Pescara, abitato da una comunità solidale e unita nel bene e nel male, luogo tanto fondamentale da intrattenere uno scambio di identità coi personaggi. Di notte, in un tempo presente densissimo in bilico fra un passato e un futuro dilatati, Adriana torna nel borgo natio dalla sorella maggiore con un neonato fra le braccia. Donatella Di Pietrantonio rivela il cuore del romanzo, situato nella famiglia, nel legame disperante delle due sorelle con la madre, una donna imprevedibile, che alternando assenza e presenza ha suscitato un’aspettativa sempre disillusa nelle figlie, facendole sentire indegne del suo amore e impedendo loro al contempo di allontanarsi da lei. Fulcro del legame è il corpo della madre invecchiata e la mentalità radicata in Italia per cui i figli devono prendersi cura in casa dei genitori. Essenziale per la scrittrice è la lingua, asciutta, esatta, tributaria di Agota Kristof.

Da ultimo, citiamo i “Skriptor prose”, occasione ghiotta per il pubblico per entrare nell’officina degli scrittori, che si sono confrontati con altri colleghi, cui hanno sottoposto brani di libri in divenire per riceverne consigli. Per esempio, Cléa Chopard ha condiviso alcuni passi della sua instabile Topolalie, alla ricerca di una forma per un testo che vi resiste, ricevendo ottime indicazioni da Muriel Pic, Isabelle Sbrissa e Marina Skalova, che ha funto anche da moderatrice.

 

Consigli di lettura

  • Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro, una metamorfosi continua tra esodo e deriva, dalle montagne alla pianura, dal borgo alla periferia, dai campi alle fabbriche. Il tempo che scorre, il passato che tesse il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre e che è l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri.

  • Daria è la figlia, il cui destino è segnato sin dalla nascita da una mancata diagnosi. Ada è la madre, che sulla soglia dei cinquant'anni scopre di essersi ammalata. Questa scoperta diventa occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia e raccontarle la loro storia. Tutto passa attraverso i corpi di Ada e di Daria: fatiche quotidiane, rabbia, segreti, ma anche gioie inaspettate e momenti di infinita tenerezza. Le parole attraversano il tempo, in un costante intreccio tra passato e presente. Un racconto di straordinaria forza e verità, in cui ogni istante vissuto è offerto al lettore come un dono.