Generalmente si pensa che sia stato Edwin Hubble a scoprire che l’universo si espande. Non è proprio così.
Nel 1912 l’astronomo del Lowell Observatory Vesto Slipher prese uno spettro della Galassia di Andromeda e si accorse che le sue righe apparivano spostate per effetto Doppler verso l’azzurro di una quantità inusitata, che presupponeva che l’oggetto stesse avvicinandosi a noi a ben 300 km al secondo, che era un valore sei volte superiore a quello registrato fino a quel momento per qualsiasi stella. Incuriosito da quel risultato, e spronato dal direttore dell’osservatorio Percival Lowell, Slipher provò a raccogliere lo spettro di un’altra galassia, la M 104, la famosa Galassia Sombrero, trovando una velocità ancora maggiore, 1000 km al secondo, ma questa volta in redshift, ovvero in allontanamento. Fino al 1921 raccolse gli spettri di 27 galassie, solo quattro delle quali presentavano moti in avvicinamento.
Già l’anno seguente Carl Wirtz, interpretando questi risultati, formulò una relazione matematica fra velocità e distanza. Knut Lundmark si espresse a sua volta nel 1925 per l’esistenza di una correlazione fra le velocità radiali delle galassie di Slipher e le loro dimensioni apparenti e nel 1927 Georges Lemaître pubblicò un importante contributo che sosteneva che le velocità di recessione delle nebulose erano la conseguenza dell’aumento del raggio dell’universo, ovvero della sua espansione, stimando anche la costante di espansione in 625 km al secondo per milione di parsec (Mpc).
Nel luglio 1928, durante un viaggio in Europa in occasione dell’assemblea dell’Unione Astronomica Internazionale tenutasi a Leida, Hubble sentì parlare della correlazione fra redshift e distanza, ipotizzata da Wirtz e Lundmark e probabilmente anche del lavoro di Lemaître; tornato a casa, decise di approfondire la questione. Allertò quindi il suo collaboratore Milton Humason e assieme si misero a raccogliere spettri, iniziando dalle galassie di Slipher. I due si ripartirono le mansioni: mentre Humason misurava sugli spettri la velocità di recessione, Hubble cercava di misurare le distanze delle galassie, con i metodi disponibili allora, presenza nelle galassie di variabili cefeidi, di giganti azzurre, magnitudine della galassia stessa. In poche settimane il duo disponeva di 46 velocità di recessione. Anche se per la metà del campione la stima delle distanze era ritenuta da Hubble poco attendibile, già nel gennaio 1929 egli decise di pubblicare i risultati relativi a 24 galassie. Da questi emergeva una legge di proporzionalità fra velocità di recessione e distanza che, incredibilmente, risultava lineare; ovvero, se una galassia era il doppio più distante di un’altra si allontanava a velocità doppia, se era il triplo più distante a velocità tripla, e così via. Nel 1931 la coppia aveva raccolto un’altra cinquantina di spettri, il nuovo grafico ottenuto estendeva 18 volte in profondità l’indagine, da 1,8 a 32 milioni di parsec, e venne assegnato alla costante di espansione un valore di 559 km/s per Mpc, molto vicino a quello di Lemaître.
La relazione che collega la velocità di allontanamento degli oggetti extragalattici alla loro distanza fu nota fino agli anni Sessanta come legge di Hubble-Humason, poi per qualche strano motivo rimase solo il nome del primo. Nel 2018 l’Unione Astronomica Internazionale ha deciso di affiancare a quello di Hubble il nome di Lemaître. Forse però andavano ricordati anche Slipher, Wirtz e Lundmark. Va anche detto che, a differenza di Lemaître, Hubble e Humason non cercarono mai di interpretare gli spostamenti verso il rosso come una conseguenza dell’espansione dell’universo, o in qualsiasi altro modo, ma si limitarono ad offrire i loro risultati sperimentali alla comunità scientifica. Ragion per cui forse questa legge dovrebbe portare oggi solo il nome dell’astrofisico belga.