Il prof. Mayor nel 2018 (Sian Prosser, Université de Genève)

Abbiamo contattato il premio Nobel per la fisica 2019 Prof. Michel Mayor poco prima del suo ottantesimo compleanno per proporgli un’intervista ed abbiamo trascorso due ore a parlare di fisica ed astronomia in un’aula del nuovo edificio all’Osservatorio di Ginevra, dedicato allo studio dei pianeti extrasolari ed alla costruzione di strumenti astronomici di punta. 

Il Prof. Mayor ottenne il dottorato di ricerca in astrofisica nel 1971; subito dopo, costruì, in collaborazione con colleghi dell'università di Marsiglia, uno strumento innovativo capace di misurare con alta precisione le velocità con cui le stelle si avvicinano o si allontanano da noi (velocità radiali). Altri strumenti seguirono, via via più raffinati tanto da risultare essenziali nel rilevare le piccole variazioni di velocità che i pianeti inducono sulle loro stelle grazie all’attrazione gravitazionale. Grazie a questa tecnica il prof Mayor ed il prof. Queloz scoprirono il primo pianeta ad orbitare attorno ad una stella come il Sole nel 1995. Scoperta che, nel 2019, in virtù del fatto di aver aperto un filone di ricerca estremamente florido, è valsa il più prestigioso premio scientifico: il Nobel. Il prof. Mayor è stato professore all’Università di Ginevra dal 1984 al 2007 ed è stato direttore del dipartimento di astronomia dal 1998 al 2004. Seppure in pensione da 15 anni, il prof. Mayor mantiene un ufficio che divide con un collega, il giorno dell'intervista arriva nel corridoio salutato da giovani ricercatori con un cordiale “Bonjour Michel” a cui lui risponde amabilmente.  

Naturalmente, iniziamo la nostra conversazione dalla scoperta dei primi pianeti extrasolari. A dispetto di qualsiasi previsione, i primi sono stati scoperti nel 1992 attorno ad una stella di neutroni che ruota su sé stessa in pochi millisecondi. Una stella di neutroni è un detrito cosmico che racchiude l’equivalente della massa di due soli in un raggio di 12 km ed è ciò che resta dall’esplosione come supernova di una stella molto massiccia. Nella loro rotazione, come un faro cosmico, alcune stelle di neutroni emettono un'emissione pulsata e prendono il nome di pulsar.  

«Come si è posto rispetto al fatto che in effetti i primi pianeti extrasolari non sono stati scoperti attorno ad una stella di tipo solare, ma piuttosto attorno a una stella di neutroni?»   

«Ho sempre dovuto fare molta attenzione a specificare che nel 1995, noi abbiamo scoperto il primo pianeta attorno ad una stella come il Sole, perché tre anni prima, avevano scoperto un sistema di ben tre pianeti che ruotavano attorno ad una pulsar al millisecondo ed alcuni giornalisti mi facevano sempre questa domanda. D’altro canto, avevo un ottimo rapporto con gli scopritori del sistema attorno alla pulsar. Al ventennale di questa scoperta, mi hanno invitato a Portorico, dove si trovava il radio telescopio di Arecibo usato per la scoperta. Trovo la scoperta di Alex (Aleksander Wolszczan e Dale Frail, n.d.r.) molto elegante, ma lo sapeva che è frutto indiretto di un guasto? Per qualche problema tecnico, per alcuni mesi ad Arecibo, non riuscivano a spostare il collettore secondario per osservare degli oggetti a piacimento (il telescopio radio di Arecibo, la cui struttura è collassata su sé stessa nel 2021, era talmente grande, 305 metri, da essere ospitato in una vallata e si poteva muovere solo l’alloggiamento dei sensori, n.d.r.), quindi hanno domandato una lista di oggetti che potevano osservare mentre questi passavano dentro il campo di vista fisso del telescopio. I ricercatori hanno così avuto a disposizione un ricchissimo archivio di più di 4000 osservazioni da cui hanno potuto ricavare con evidenza inconfutabile che c’erano due pianeti attorno alla pulsar in delle orbite risonanti (con un rapporto intero del periodo orbitale)». 

«Solo altri due sistemi di questo tipo sono stati scoperti fino ad ora, mentre migliaia di pianeti attorno a stelle “normali” sono stati scoperti e continuano a essere trovati»  

«La loro scoperta cadde in un momento sfortunato. Appena un anno prima, Andrew G. Lyne aveva annunciato la scoperta di un pianeta attorno ad una pulsar, ma poi, ad una conferenza a cui ero presente, con molta eleganza ed onestà, dichiarò pubblicamente che avevano fatto un errore, causato da una conoscenza imprecisa della posizione dell’oggetto, che causava una modulazione del periodo di rotazione su sei mesi, erroneamente attribuita alla presenza di un pianeta (facendo tesoro di questo errore, Wolszcan e Frail determinarono con un altro strumento la posizione della loro pulsar, prima di annunciare la scoperta, n.d.r..). Poi, alla stessa conferenza, arrivò Alex che annunciò un sistema di due pianeti attorno ad un’altra pulsar, per cui ci fu un po’ di scetticismo. Comunque, i dubbi vennero presto fugati perché osservazioni successive mostrarono un effetto piccolissimo di interazione fra le orbite che poteva essere spiegato solo con la presenza di due pianeti. Ma soprattutto, questi sistemi, la cui origine non è tuttora del tutto chiara, sono rimasti dei casi eccezionali. Tanto che l’attuale direttore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Italiano, Dr. Marco Tavani, scrisse un articolo per tentare di spiegare questo fenomeno nel 1992. Lo scorso settembre, mi diede una copia originale di questo lavoro, in occasione di una conferenza a cui mi hanno invitato all’Università della Sapienza a Roma per la giornata europea della ricerca. Quindi è naturale che la scoperta mia e di Didier (Queloz, n.d.r.) di un pianeta attorno ad una stella di tipo solare abbia avuto un riconoscimento maggiore, perché ha aperto una linea di ricerca e di conoscenza ricchissima». 

«Ci racconterebbe qualche episodio particolare legato alla grande notorietà che le ha apportato la vincita del prestigiosissimo premio Nobel nel 2019?»

«La prima cosa che mi viene in mente sono le circostanze dell’annuncio. Eravamo in Spagna a San Sebastian per fare da baby-sitter ai miei nipotini perché mio figlio e sua moglie erano invitati a un matrimonio ed andarci con due bambini piccoli non era il massimo. Era il giorno della partenza e stavamo per andare all’aeroporto con l’autobus, gli annunci per il Nobel vengono fatti ufficialmente intorno a mezzogiorno. Non aspettavo veramente l’annuncio ma sono capitato sul sito proprio al momento in cui il segretario dell’accademia svedese di scienze stava parlando in diretta streaming. Cominciò affermando che il premio viene attribuito per il grande contributo alla conoscenza del cosmo … mi dico ... interessante … e subito viene annunciato il nome del Prof. Peebles … vabbè un altro cosmologo, penso …  <<e l’altra parte del premio a due ricercatori che hanno scoperto i pianeti extrasolari>> … e dunque è fatta! Ma … dovevamo andare all’aeroporto, chiudo il portatile senza ascoltare il seguito e nel mentre arriva un messaggio email in cui mi si domandava di essere contattato per importanti comunicazioni.  Al tempo non avevo un telefono cellulare, per cui mi hanno raggiunto al telefono di mia moglie, mentre eravamo nella rumorosissima stazione dei bus di San Sebastian. Lì non era possibile parlare, per cui il resto delle prime comunicazioni si sono svolte all’aeroporto, le email arrivavano al ritmo di una ogni secondo, ci ho messo mesi a leggerle tutte. Quel giorno eravamo diretti a Madrid dove ero invitato a una conferenza e all’aeroporto c’erano già molti giornalisti e fotografi, probabilmente allertati dai colleghi che ci aspettavano. Da lì, è stato un vero turbinio di eventi che si sono susseguiti a ritmo serrato. Si figuri che, nonostante la recente pandemia, l’anno scorso sono stato ricevuto con sole altre tre persone dal re di Spagna, persona squisita e grande appassionato di astronomia». 

«Metà del premio è andato al prof. Peebles, mentre l’altra metà a lei ed al suo studente di dottorato dell’epoca, Didier Queloz, non era stato sempre così nel passato, di solito il premio veniva attribuito solo al professore»

«In effetti, l’accademia delle scienze svedese è stata molto criticata per quest’attitudine nel passato e credo che abbiano voluto porre rimedio a questa stortura. Didier era stato ingaggiato per analizzare i dati con l’aiuto del calcolatore in quel progetto ed in più abbiamo firmato l'articolo a due, cosa che lo ha probabilmente aiutato ad avere il giusto riconoscimento». 

«Abbiamo letto proprio ieri sera l’articolo e l’abbiamo trovato molto elegante e convincente»

«Quando si scrive un articolo di questa rilevanza, poi, rileggendolo, si pensa: "avrei potuto fare meglio questo o quello", ma in verità sono piuttosto soddisfatto del lavoro. Abbiamo escluso altre ipotesi sull’origine della modulazione della velocità radiale nella discussione ed abbiamo tentato delle spiegazioni sull’origine di un pianeta della taglia di Giove che orbita in quattro giorni attorno alla sua stella, cioè molto più vicino di Mercurio. Quasi nessuno si aspettava qualcosa del genere, ma in realtà la teoria per spiegarlo era già pronta, tanto che l’articolo teorico, che proponeva la migrazione dei pianeti nel disco protoplanetario, uscì due settimane dopo il nostro, probabilmente scritto da  Lin, Bodenheimer & Richardson sulla base delle notizie sulla nostra scoperta che già circolavano nell’ambiente. Uno dei miei piccoli rimpianti è di non aver pensato subito a questa teoria di cui avevo letto una decina di anni prima durante i miei studi sulla dinamica e formazione delle galassie, ma che avevo scordato. Per spiegare alcuni bracci a spirale nelle galassie si invocano delle onde di densità che si propagano nel disco in seguito a una perturbazione, una teoria del 1964. Ad esempio, una galassia satellite, tipo le nubi di Magellano che passa attraverso il disco attira momentaneamente le stelle circostanti e questa perturbazione si propaga con delle onde di densità che si muovono verso il centro. In quell’articolo c’era addirittura una frase che diceva che Giove non si trova dove si era formato all’origine. Una cosa analoga è stata proposta per i dischi da cui si formano i pianeti. Una qualche perturbazione, comune nelle fasi iniziali si crea nel disco e provoca un’onda di densità che può arrivare vicino alla stella e formare un gigante gassoso proprio là. Mentre prima si pensava che l’aggregazione si potesse formare solo attorno a gas e ghiaccio che non possono essere presenti troppo vicino alla stella primordiale. Avrei potuto pensarci anch’io, ma non mi venne in mente quel vecchio lavoro che gettava le basi teoriche. In ogni caso, la spiegazione della migrazione dei pianeti con le onde di densità apparsa quasi subito dopo la nostra scoperta aiutò a far accettare il nostro lavoro: c’era un fenomeno fisico che era stato trascurato, ma che era molto importante! E se ora si mettono su un piano, su un grafico, i periodi orbitali e le eccentricità dei 4000 pianeti extrasolari, si vede che riempiono il piano in maniera uniforme, cosa impossibile senza la migrazione delle onde di densità. 

L’unica cosa che è sbagliata nel nostro articolo è un riferimento a un possibile secondo pianeta che non è mai stato scoperto. C’erano delle discrepanze, ma scoprimmo solo dopo diversi anni che erano dovuti ad un effetto strumentale. Lo strumento che usavamo sfruttava delle fibre ottiche per convogliare la luce della stella, ma l’immagine della stella è in realtà elongata a causa dell’atmosfera più in una regione spettrale che in un’altra, come conseguenza, la fibra raccoglie più luce verde o rossa o blu. Quindi il nostro strumento era equipaggiato di un correttore di dispersione che però non era regolato perfettamente e quindi raccoglievamo la luce più in una regione spettrale che in un’altra. Come spiegherò fra poco, il nostro strumento era in grado di confrontare l’insieme delle righe spettrali di una stella a diversi momenti per rilevare anche la più piccola variazione, e quindi un peso scorretto provocava uno spostamento fittizio delle righe. Solo anni dopo un tecnico, riguardando lo strumento, si è reso conto della cattiva regolazione. Dopo la sua correzione, la precisione è addirittura aumentata. E questo problema era presente nel 1995, nonostante avessimo fatto molte osservazioni di calibrazione, non ci eravamo accorti del problema. Nel nostro lavoro su 51 Pegasi, avevamo trattato i dati come fossero perfetti, ma questo non ci ha impedito di fare la scoperta più importante». 

«Come accennava, la scoperta di un Giove caldo, era inattesa, venne subito accettata o ci fu molta diffidenza?» 

«La teoria in quel momento prevedeva che pianeti di quella massa dovessero avere un periodo orbitale dell’ordine di dieci anni; quindi, il nostro disaccordo era di un fattore mille. Di conseguenza, eravamo noi stessi molto diffidenti e prudenti, visto che potevano esserci anche altri effetti legati ai moti del gas sulla superficie delle stelle o effetti strumentali. Decidemmo di non pubblicare subito i dati, ma di attendere di osservare il sistema nella stagione di visibilità seguente, dopo circa sei mesi. Se la stessa modulazione fosse stata presente in entrambe le campagne, avremmo potuto escludere essenzialmente tutte le altre ipotesi, come discusso nell’articolo. Ed il fenomeno era presente a distanza di sei mesi: si trattava proprio di un pianeta gigante che orbitava in 4,2 giorni! Poi, le nostre misure vennero confermate con altri strumenti da altri gruppi e cominciarono gli annunci anche di altri sistemi simili. Le ipotesi alternative non mancarono ancora per diversi anni, alcune anche palesemente errate per chiunque abbia delle minime nozioni di fisica stellare. 

Secondo me, la scoperta che dimostrò inconfutabilmente che le modulazioni di velocità radiali erano dovute a pianeti, fu il transito di un pianeta sul disco di una stella nel 1999. Grazie alle misure di velocità radiali, scoprimmo un pianeta che orbitava in tre giorni e mezzo attorno alla sua stella (HD 189733). Fu quindi possibile prevedere quando il pianeta sarebbe passato di fronte alla sua stella. Siccome i pianeti non brillano di luce propria, la luminosità della stella subisce una leggera diminuzione, meno del 2% in questo caso, che fu possibile misurare il 9 ed il 16 settembre. Se si misura la massa attraverso le velocità radiali ed il raggio attraverso il transito, è facile ricavare la densità e dimostrare che questi corpi hanno densità simili ai pianeti del nostro sistema solare, in particolare, per questi primi casi, simili ai giganti gassosi Giove e Saturno (la densità di HD 189733b è 0.3g/cm^3, minore di quella di Saturno che è 0.7g/cm^3)».

Nella seconda parte dell’intervista, parleremo di cosa ha permesso una scoperta cosi’ importante, della carriera del prof. Mayor e di cosa gli piacerebbe ancora fare.