Domani non vengo - incursioni teatrali all'Albergheria

Emilio Ajovalasit e Preziosa Salatino da anni fanno teatro nel centro storico di Palermo, in quartieri in cui l’emergenza, umana e sociale, è continua. Il teatro per tanti anni, per loro, è stato un modo per regalare una possibilità, un sogno o un mondo altro a tanti bambini che vivevano in un quartiere disagiato.

Nel 2019, poco prima del Covid, hanno acquistato un locale e lo hanno trasformato, con l’aiuto dei loro allievi, in teatro, per dare una casa più stabile al Teatro Atlante, così chiamato dal personaggio del mago Atlante dell’Orlando Furioso, che costruisce un castello dove i paladini che entrano vedono materializzarsi i propri desideri.

Una coppia, nella vita come sulla scena, che ha saputo, in tutti questi anni, dalla strada, parlare ai giovani; e da lì sono ripartiti anche durante la pandemia.

Ho incontrato Emilio Ajovalasit e Preziosa Salatino nella loro «casa» nel quartiere Kalsa di Palermo, quello dove sono cresciuti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per intenderci.

Dopo aver chiuso il portone d’ingresso, per non sentire i venditori ambulanti e i motorini sfrecciare a tutta velocità tra i vicoli, siamo tornati indietro nel tempo, quando all’Albergheria, a Palermo, costruivano il loro castello di teatro.

«Qual era il senso di fare teatro in questi quartieri?»

Emilio: «Il teatro è stato uno strumento, tutto è nato per caso. Facevo volontariato con i bambini del quartiere all’Albergheria e siccome facevo anche teatro mi ero detto: «ma perché non unire le due cose?». I miei colleghi del tempo erano molto diffidenti, mi dicevano: «questi bambini non sanno nemmeno cosa è un teatro, figuriamoci farglielo fare!». E invece ha funzionato, perché il teatro può essere uno strumento potentissimo. Dal punto di vista relazionale, i bambini di quei quartieri erano abituati solo alla violenza e alla sopraffazione, non riuscivano a fare una partita di calcio senza litigare. Nel teatro, invece, bisogna cooperare per un obiettivo comune, lo spettacolo. Negli anni abbiamo cercato di veicolare i bisogni di questi bambini verso un qualcosa di concreto, che loro potevano esprimere all’interno del laboratorio. E con le parate per le vie, abbiamo coinvolto anche le famiglie. A ripensarci, sono state esperienze eccezionali».

Preziosa: «Assieme ai bambini c’erano anche attori professionisti, trampolieri, giocolieri, che in qualche modo garantivano la qualità dello spettacolo finale».

«Che tipo di spettacoli avete fatto?»

Preziosa: «Abbiamo creato spettacoli con tematiche legate al quartiere, il primo anno abbiamo lavorato, per esempio, sull’immondizia, perché il quartiere ne era e ne è pieno».

Emilio: «L’anno dopo scegliemmo il tema del cavallo. Nel quartiere c’erano diverse stalle con cavalli, questi venivano usati nelle corse clandestine a cui molte persone dell’Albergheria partecipavano (anche i bambini e spesso di notte!). Giravano tanti soldi attorno a queste corse! Un giorno, fu ritrovato un corpo di un cavallo fatto a pezzi davanti alla scuola elementare. I carabinieri, chiamati per risolvere il problema, avevano circondato tutta la zona, tuttavia dopo tre giorni il cavallo era ancora lì, e faceva caldo, e l’aria tutt’intorno era diventata irrespirabile. All’improvviso la gente del quartiere decise di dare fuoco al cavallo, peggiorando notevolmente la situazione.

Per noi, la cosa più sconvolgente fu apprendere che uno dei nostri bambini conosceva il cavallo e sapeva perché era stato fatto a pezzi. Quell’anno alla fine del laboratorio decidemmo di aprire la parata con questo bambino vestito da cavallo e con le ali d’angelo sulla schiena. Dovevamo dare un segnale».

«Avete saputo anche voi la storia di questo cavallo?»

Preziosa: «Sì, certo. Era un cavallo dopato che usavano nelle corse. Era letteralmente schiattato. Gli era venuto un infarto, e i bambini lo sapevano».

Emilio: «Li dopavano per farli correre di più».

Preziosa: «Nello spettacolo c’era un domatore cattivo che faceva fare esercizi troppo difficili ad un cavallo del circo, tanto che questo un giorno in una acrobazia si rompe una zampa. Il padrone del circo decide di sopprimerlo ma per chiudere in positivo abbiamo deciso di fare uscire il cavallo in strada con le ali d’angelo».

«Quale è stata la reazione del quartiere?»

Preziosa: «Il fatto che noi passassimo davanti alle stalle con lo spettacolo, ci ha messo in difficoltà. Eravamo seguiti da fotografi, giornalisti, e nel quartiere c’erano le sentinelle che ci seguivano in motorino. Eravamo inconsapevoli dei rischi che stavamo correndo».

Emilio: «In generale comunque le reazioni erano state positive. Credo che non tutti abbiano colto il significato di quella parata».

Preziosa: «E poi i bambini ci facevano da scudo».

«Siamo in quali anni?»

Emilio: «Abbiamo iniziato nel 2007 e abbiamo continuato fino al 2014. Nel 2010 ci hanno raggiunto, nelle parate, degli artisti aquilani che si erano messi assieme dopo il terremoto del 2009 per aiutare gli sfollati nelle tende. Quando ci siamo conosciuti, hanno scoperto quello che facevamo a Palermo e hanno deciso di venire in città, dove c’era una emergenza diversa, non legata ad un evento in particolare, diciamo una emergenza costante. Questo incontro per noi è stato molto bello. Dal 2014 in poi, questo progetto si è trasformato in Classici in strada».

Preziosa: «Vorrei precisare che l’Albergheria era ed è il nostro quartiere, il cavallo morto era sotto casa nostra e così pure l’immondizia».

«Voi non eravate dunque entità esterne, per anni avete fatto teatro nel vostro quartiere»

Preziosa: «Noi incontravamo i bambini del laboratorio al panificio, sotto casa…».

«Alcuni di loro hanno continuato a fare teatro negli anni?»

Emilio: «Una bambina ha continuato a lavorare con noi fino ai suoi 17 anni, ha fatto diversi spettacoli ed è venuta pure in tournée. Con tutti gli altri è rimasto un legame molto forte. Quando incontriamo questi bambini, che oggi non lo sono più, si percepisce che c’è stato qualcosa di intenso, tra di noi. Oggi sono sposati, avranno a breve dei figli! Per noi è importante che abbiano potuto vedere che esisteva anche altro, non gli abbiamo cambiato la vita, ma magari ai loro figli chissà…».

Preziosa: «Da alcuni anni, con i Classici in strada abbiamo creato una rete con scuole di quartieri diversi della città, di ogni ordine e grado. Mettiamo in scena testi della letteratura classica per realizzare spettacoli da fare in strada a Ballarò, a Borgo Vecchio ecc… Sono spettacoli interattivi, nei quali anche il pubblico può partecipare. La lite tra Achille e Agamennone, o Ulisse che ritorna a casa dopo 20 anni, a Ballarò, dove probabilmente la gente non conosce questi testi, ha funzionato perché le persone riconoscevano l’archetipo: due uomini che litigano per una femmina, oppure una famiglia in cui la donna da sola deve crescere i figli perché il marito è altrove. La gente interveniva, aveva domande da fare. Questo per noi ha avuto una grande valenza».

«Come avete scoperto il teatro?»

Emilio: «La prima immagine che io ho avuto del teatro è stata grazie a mia nonna che mi portava spesso al Teatro Stabile di Palermo. Vedevo questo mondo altro e restavo incantato, poi però negli anni mi sono reso conto che chi c’era e c’è di solito dentro il teatro, era ed è un nucleo molto ristretto di persone. Il teatro per me non deve essere qualcosa di morto, ma qualcosa di vivo, in rapporto con la società in cui viviamo. Questo nostro modo di fare teatro nasce dall’esigenza di portare il teatro alla gente, soprattutto da chi non ci andrebbe mai».

Preziosa: Nel mio paese, Rossano, in Calabria, il teatro non c’era, un giorno però nella mia scuola arrivò un tizio tutto colorato (Ciccio Tedesco) che ci propose di fare un laboratorio di due giorni sul Teatro dell’Oppresso. Avevo 16 anni. In quell’occasione lavorammo ai nostri conflitti, che al tempo per me erano per lo più di natura familiare. Quella esperienza di teatro mi diede la possibilità di cambiare la realtà, di inciderla».

«Come vi sembrano i giovani di oggi?»

Emilio: «Hanno una grandissima confusione, mancano di un orientamento preciso, hanno più possibilità rispetto a noi quando avevamo la loro età, eppure sono confusi, non riescono a trovare una direzione chiara. Quelli che incontriamo noi, a teatro, trovano una socialità che non è virtuale, e creano un legame diverso tra di loro, che avranno solo con il gruppo di teatro».

Preziosa: «È la generazione social, a loro manca il corpo che a teatro invece trovano. All’inizio vanno in crisi poi pero è tutta una scoperta».

«Come è stato per voi il periodo della pandemia?»

Preziosa: «Noi che venivamo dal teatro di strada, siamo ritornati in strada! Abbiamo lavorato fuori, nei parchi, in montagna, facendo parate e il pubblico di Teatro Atlante ci ha seguito».

Emilio: «Per un anno abbiamo lavorato a Villa Giulia. Ci siamo dovuti adattare in continuazione, siamo stati flessibili, abbiamo cambiato luoghi e orari diverse volte, a seconda delle ordinanze. Eppure questi studenti, per lo più universitari, puntualmente ci seguivano. Questo ha sorpreso anche noi».

«La strada quindi vi ha salvato?»

Preziosa: «Sicuramente. Abbiamo fatto spettacoli all’aperto, non potevamo chiedere un biglietto, perciò abbiamo tirato fuori il cappello. E la gente ci ha sostenuto».

Emilio: «E siccome abbiamo sempre lavorato in regola, pagando i contributi a tutti i nostri collaboratori oltre che a noi stessi, abbiamo potuto usufruire della cassa integrazione straordinaria per il Covid, e questo ci ha consentito di sopravvivere in un periodo così difficile».

«Che cosa è il coraggio per voi?»

Emilio: «Fare quello che c’è da fare come se fosse la cosa più importante del mondo e allo stesso tempo guardare, non al domani, ma al futuro molto lontano con una prospettiva a lungo termine».

Preziosa: «Per me è fidarsi delle intuizioni contro ogni ogni logica».

«Nel futuro lontano come sarà Teatro Atlante?

Emilio: «Diverso di come è adesso, il nostro è un teatro in cambiamento»

Preziosa: «Direi, sempre giovane».