Partir di Jean-Daniel Piguet

Si è concluso, al teatro Arsenic di Losanna, Partir di Jean-Daniel Piguet, andato in scena dal 2 al 7 novembre scorso. In dicembre, repliche dal 3 al 14 al Grütli di Ginevra.

Il giorno della prima, mi dirigo in macchina all’Arsenic con l’obiettivo di assistere a un’altra rappresentazione: Pièce sans acteur(s) di François Gremaud e Victor Lenoble. Non ho previsto i cantieri stradali nei dintorni del teatro, che rendono difficoltosa la ricerca di un posteggio. Ho dieci minuti di ritardo. Provo ad argomentare con la cassiera: se non ci sono attori, non dovrei recare troppo disturbo, no? La cassiera esita. Ho il tempo di pensare: sarebbe divertente un’opera teatrale senza attori né spettatori. Niente da fare, la cassiera opta per il no e a quel punto è irremovibile.

Un ragazzo gentile, seduto di fronte alla biglietteria, mi suggerisce di assistere al “loro” spettacolo, un’ora e mezzo dopo. Titolo: Partir. Perché no? La mia ipotesi di teatro estremo verrà smentita. Infatti, Pièce sans acteur(s) sarà pure senza attori, ma il pubblico che sciama fuori è numeroso. Alla fine, non rimpiango affatto il ritardo, che mi permette di scoprire il lavoro del giovane però maturo regista e attore ginevrino Jean-Daniel Piguet, coautore del testo insieme a Nicolas Doutey. All’origine dello spettacolo è l’esperienza personale del regista, che ha perso il padre nel 2012 e, a sette anni di distanza, ha deciso di elaborare il materiale autentico raccolto durante l’ultimo mese di vita del genitore in ospedale.

Figlio e padre avevano scelto di documentare i momenti precedenti alla loro separazione, la soglia fra il noto e l’ignoto. Il figlio ha quindi filmato il padre con la telecamera avuta da lui in regalo. Un simile progetto non sorprende da parte di Jean-Daniel Piguet, che ha studiato la filosofia e il cinema documentario a Tolosa, Montréal e Parigi, prima di diplomarsi in regia alla scuola di teatro La Manufacture di Losanna, approfondendo le scritture del reale. Sulla stessa sottile linea di demarcazione fra realtà e finzione si muovono infatti anche i suoi spettacoli precedenti: Passe, Pas Perdus, La Résistance Thermale, Memoria Libera e Autostop.

Entro in una sala già piena; un grande telo verde speranza occupa il centro della scena. Eppure siamo in un ospedale. Un uomo in punto di morte, interpretato dall’ottimo Pascal Gravat, in mutande e maglietta color azzurro-camice da ricoverato, dialoga con un’infermiera, ma soprattutto col figlio, e via via con parenti e amici venuti a dargli l’estremo saluto.

“Partire ha molti sensi” e, forse, “Partire ha molto senso”, avverte il coro, in una frase che in francese conserva la sua ambiguità: “Partir ça a beaucoup de sens”.

Il viaggio della morte è allontanamento dalle persone amate, allontanamento dal proprio corpo e dal proprio spirito, sguardo distaccato sul percorso compiuto, viaggio verso l’ignoto che dà senso, oppure no, a quel che si è vissuto: «Vedi quei podisti che corrono in tondo, fanno un giro di non so quanti chilometri, ehm… per niente. Girano in tondo. E credo che nella vita gli uomini girino in tondo per un certo numero di anni. Ecco qua, tu giri in tondo», sostiene il moribondo. In un viaggio capita di perdersi, come accade a lui, intontito dalla morfina contro il dolore, che gli fa smarrire il filo dei pensieri e dei ricordi. Partire in viaggio può anche significare allontanarsi per tornare al punto di partenza, per scoprire la vicinanza con persone che si credevano diverse da noi. Così, il padre morente racconta il proprio lavoro accanto ai bambini psicotici, mentre ora, nella nebbia mentale indotta dalla morfina, si ritrova nella stessa condizione di follia, osserva.

Ci si affaccia nell’anticamera della morte con leggerezza. Le prime battute, sugli acciacchi del paziente e il cibo da ospedale, suscitano timide risate nel pubblico. L’atmosfera oscilla quasi sempre fra levità e turbamento. Non è ciò che avviene al corpo a incutere paura ai cari che assistono agli ultimi momenti del malato, ma l’ignoto. Parlando con colui che sta per lasciarli, tutti sperano in una rivelazione che spieghi la vita o in uno scorcio sul dopo. Il figlio insiste nel chiedere particolari, però le risposte che riceve sono deludenti.

Solo nel finale l’atmosfera diventa davvero angosciante, con un susseguirsi vorticoso di immagini – probabilmente ricordi – proiettate sul telo verde, con la luce che si è fatta cupa e un suono ripetitivo assordante. Rimangono i vivi, con le loro domande spalancate. Nessun messaggio per il pubblico, costretto a interrogarsi e magari a fare i conti, più o meno risolti, con i propri morti.

 

Partir

Idea e regia: Jean-Daniel Piguet

Testo: Nicolas Doutey, Jean-Daniel Piguet.

Con: Marika Dreistadt, Pascal Gravat, Marie-Madeleine Pasquier, Jean-Daniel Piguet, Lucas Savioz.

Scenografia e luci: Estelle Gautier, Florian Leduc.

Suono: Clément Edouard.

Creazione audiovisiva: Pierce Warnecke.

Costumi: Anna Cressaty.

Assistenza e drammaturgia: Remi Dufay.

Amministrazione: minuit Pile (Emma Ducommun e Marion Houriet).

Produzione: Compagnia teatrale DanielBlake.

Coproduzione: Arsenic – Centre d’art scénique contemporain, Losanna; Le Grütli – Centre de production et de diffusion des Arts vivants, Ginevra.

Con il sostegno di: Ville de Lausanne, Fondation Leenaards, Fondation Nestlé pour l’art, Fondation Casino Barrière, Société Coopérative Migros Vaud, Pro Helvetia, Etat de Vaud, Loterie Romande, Fondation Michalski. Un progetto iniziato nel contesto della Mission Recherche di La Manufacture – Haute école des arts de la scène, Losanna.

 

Per approfondire:

https://grutli.ch/spectacle/partir-2/

https://lecourrier.ch/2021/09/05/partir/

https://lecourrier.ch/2021/11/04/mourir-cest-partir-un-peu/